Disservizio postale: il reclamo non è condizione di procedibilità per adire l’autorità giudiziaria

In caso di disservizio postale, ad esempio un ritardo nella consegna della corrispondenza, per ottenere il risarcimento del danno, gli utenti possono adire direttamente l’autorità giudiziaria, senza dover prima attivare la speciale procedura di reclamo che prevede specifiche garanzie a favore del gestore in considerazione della complessità del servizio svolto.

Così ha stabilito il Tribunale di Cagliari con la sentenza n. 1806 del 13 Giugno 2016, respingendo il ricorso di Poste italiane contro la sentenza di condanna del giudice di pace che aveva dato ragione all’utente danneggiato.

Il legislatore ha infatti predisposto due differenti modelli di tutela: l’uno fondato sul reclamo da presentarsi al gestore del servizio; l’altro, fondato sul ricorso all’autorità giurisdizionale e regolato dal codice civile in materia di responsabilità contrattuale.

Di fronte a queste due strade, l’utente danneggiato può legittimamente scegliere di ricorrere all’autorità giurisdizionale senza aver previamente richiesto il risarcimento del danno mediante l’attivazione della procedura di reclamo.

Alla luce di tali opportunità per l’utente danneggiato è ovvio chiedersi quando ci si debba rivolgere direttamente al giudice e quando, invece, può essere sufficiente il reclamo all’ente gestore del servizio postale.

La stessa sentenza sopra citata risponde chiarendo che il reclamo è utile per ottenere rimborsi e indennizzi derivanti dal disservizio causato nella cattiva esecuzione delle operazioni postali (per esempio ritardo); mentre il ricorso giurisdizionale serve a far valere una vera e propria responsabilità da inadempimento contrattuale del gestore del servizio, con conseguente richiesta di risarcimento del danno.

Buche stradali: spetta al pedone provare solo il nesso causale.

Ancora una volta la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’annosa questione relativa al danno provocato ai pedoni dalle condizioni sconnesse del manto stradale, spesso provocanti danni di varia gravità al passante malcapitato e che, dunque, implicano una responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Buche stradali: onere probatorio

Con l’ordinanza n. 17625 del 05.09.2016 Cassazione Civile Sez. VI, la Suprema Corte esamina il problema relativo all’onere probatorio a carico del danneggiato, distinguendo tra la prova del nesso di causalità e la prova della pericolosità della cosa.

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, il pedone aveva proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che aveva rigettato la domanda del pedone contro il Comune di Bisignano avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni provocati da caduta per manto stradale sconnesso.

La Corte di Appello aveva ritenuto che la prova circa l’intrinseca ed obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi fosse determinante ai fini dell’accoglimento della domanda, pertanto in assenza di tale prova da parte del pedone, pur avendo questo provato il nesso causale tra la cosa e il danno, aveva rigettato l’istanza risarcitoria proposta dal pedone danneggiato.

Differentemente da tale interpretazione della Corte di Appello, i Giudici della Corte di Cassazione hanno sostenuto che la Corte di Appello abbia scambiato l’onere della prova riguardo al nesso causale con con quello relativo all’assenza della colpa.

Inoltre gli stessi giudico hanno ribadito che, qualora il nesso causale sia già dimostrato, non sia necessario fornire la prova della pericolosità della cosa. Quest’ultimo elemento è infatti un utile indizio, che consente di risalire, tramite una presunzione ex art. 2727 c.c., alla prova del nesso di causa, ma qualora quest’ultimo sia aliunde accertato, non sarà necessario stabilire se la cosa sia pericolosa o meno.

Infatti secondo la Cassazione, anche il custode di cosa non pericolosa risponde ex art. 2051 c.c., allorquando sia stato accertato e dimostrato un valido nesso di causa.

Ciò posto, l’unica possibilità che ha il custode per esonerarsi dalla responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c. , è provare il caso fortuito, ovvero la sussistenza di un evento esterno ed imprevedibile, che sia in grado di escludere il nesso eziologico tra cosa e danno, interrompendo il processo eziologico di determinazione del danno e dando inizio ad una diversa ed autonoma sequenza causale. In proposito anche la condotta negligente del danneggiato può assumere rilevanza.

Pertanto, nel caso sottoposto alla S.C. una volta esclusa la sussistenza del fortuito, il cui onere probatorio era a carico dell’amministrazione convenuta e pacificamente provato il collegamento eziologico tra la cosa in custodia ed il danno cagionato, che peraltro nel caso specifico venne ammesso espressamente dalla stessa Corte d’Appello, non vi era ragione per respingere la domanda di risarcimento proposta dal danneggiato.